La nostra storia

Lecco, terra di trafilieri

“L’arte di trafilare il ferro, che oggi ha nei perfezionati congegni del macchinario moderno un così potente alleato, era un tempo esclusivamente basata sul lavoro dell’uomo, costretto a piegare e vincere il metallo solo usando del fuoco, dell’incudine e del martello. Quest’arte, che nel suo evolversi e nel suo progredire, ha dato al mondo prodigi di opere e magnifiche tempre di uomini, è veramente gloria del Territorio di Lecco, il quale, fin da lontani evi romani e preromani, fu ricco di fucine e di artieri geniali.” (Officine Grafiche Fratelli Grassi, 1936)

Quando Leonardo da Vinci fu a Lecco e in Valsassina, sul finire del 1400, nella mente dell’artista-scienziato s’impressero le visioni dei fabbri circonfusi dai bagliori e dai riflessi del fuoco, intenti alla fatica di domare il ferro e di ridurlo in varie forme, in armi d’offesa o di difesa, in strumenti di lavoro. Si devono a queste forti impressioni i disegni del Codice Atlantico e, in particolare, le trafile, varie per grandezza e per formato, e la trafila-laminatoio che, oltre a documentare il grado avanzato in cui si trovava allora la lavorazione del filo sul territorio di Lecco e nella Valsassina, raccontano delle lontane origini locali “dell’arte” della trafilazione. Quest’arte ha contribuito non poco a formare il carattere della popolazione, rude e sincera, dedita al lavoro e al risparmio, ostile ad ogni forma di esibizionismo, restìa a mostrare ciò che sa fare pur facendolo sempre nel modo migliore.

L’intelligente attività della popolazione lecchese aveva saputo, fin dai lontani tempi, utilizzare al meglio la ricchezza naturale delle acque come forza motrice. Lungo i corsi d’acqua erano sorte numerose officine. La zona era tutto un opificio. Ogni porta era l’entrata di uno stabilimento, di una fucina, di una bottega artigiana.

Oltre i contrasti, il valore dell’unione

Una delle lavorazioni più importanti era quella della trafilazione di un tipo di ferro omogeneo detto comunemente vergella, che veniva prodotto  in piccoli forni locali, con soffierie azionate ad acqua. Produrre la materia prima destinata alle diverse esigenze della trafilazione diventò presto una necessità per gli industriali Lecchesi, ai quali la passione del lavoro, la certezza delle proprie possibilità ed un sano orgoglio rendevano ormai insopportabile il dover dipendere da produttori di altre zone. Per raggiungere lo scopo occorrevano capitali rilevanti. Occorreva, soprattutto, che gli industriali interessati, dimenticando contrasti e lotte di concorrenza, spesso inevitabili per chi lavora nello  stesso ambito, si unissero in uno sforzo comune.

Questa iniziativa di carattere collettivo, innovativa per l’epoca e non solo, riuscì a realizzarsi per merito di tre promotori: Francesco Airoldi, Giacomo Gerosa ed Enrico Bonaiti. Intorno a loro si raggrupparono altri industriali Trafilieri locali e nel 1896 nacque uno stabilimento  specializzato per la fabbricazione della vergella, il primo in Italia:  la Società Anonima Ferriera del Caleotto, sorta e mantenuta con la forma delle normali società di capitali, fu essenzialmente una società di persone. anzi di famiglie, e per questo riuscì, nel corso degli anni, a mantenere le caratteristiche di un organo collettivo di lavoro a favore dello sviluppo del territorio.

La nostra storia continua nel tempo

Il laminatoio originario, che cominciò a rifornire  di vergella i propri associati, fu col tempo trasformato e modernizzato, con una tensione costante verso tecnologie innovative. 

Dalla motrice a vapore il laminatoio passò all’energia elettrica. Furono realizzati i primi forni siderurgici alimentati a polvere di carbone e  il ciclo produttivo venne automatizzato.

Nel 1908 incominciò a funzionare un’acciaieria con un forno Martin Siemens e fu allestita un’officina meccanica attrezzata per tutti i bisogni dello Stabilimento. Nell’occasione la Società assunse la denominazione: “Acciaieria & Ferriera del Caleotto”. Si formò così un complesso organismo produttivo che a metà degli anni trenta del secolo scorso dava lavoro ad oltre duemila impiegati ed operai. Il secondo dopoguerra vede il Caleotto impegnato nella ricostruzione e nello sviluppo di una nuova struttura sociale. Molte cose cambiano.

Iniziano gli anni del boom economico, della forte migrazione dal sud, che trova occupazione anche nella cattedrale della siderurgia lecchese. Negli anni ’80 arriva la crisi, maturata nel decennio precedente. Nel giro di un decennio i dipendenti  scendono da più di 1000 a 240, per ridursi ancora negli anni successivi.

L’acciaieria viene abbandonata nel 1990. Nell’aprile 1991 cade anche l’ultimo “segno” della vecchia ferriera, la torre serbatoio con la riserva d’acqua per i forni che raggiungevano temperature altissime.

Nel 1992 l’Azienda passa sotto il controllo del gruppo Lucchini. Si tratta di una parentesi per molti versi dolorosa  e l’azienda rischia la chiusura.

“Quando c’era il Caleotto” dicono ormai i lecchesi con riferimento all’acciaieria e alla ferriera, autentica cattedrale del lavoro locale.

Nel 1996 venne celebrato il centenario dalla fondazione.

Nel 2015, grazie alla partnership tra Duferco Italia Holding e Feralpi Group, l’azienda viene rilevata dal gruppo Lucchini e viene così costituito il Gruppo Caleotto. La produzione viene mantenuta presso il
laminatoio di Lecco, fortemente legato al territorio che lo circonda. Da qui la scelta del gruppo di conservare i nomi storici di Caleotto ed Arlenico da sempre riconosciuti e stimati.

Nell’aprile 2020 il Gruppo Feralpi sale al 100% in Caleotto S.p.a.: il gruppo siderurgico, tra i più importanti produttori di acciaio in Europa, ha rilevato il pieno controllo del sito produttivo lecchese acquisendo il 50% della quota detenuta da Duferco Italia Holding. Alla luce dell’operazione, Caleotto risulta quindi essere totalmente integrata e verticalizzata nella struttura del Gruppo Feralpi, che garantisce il pieno supporto per dar seguito al piano pluriennale di sviluppo della società.

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